venerdì 22 giugno 2007

G. Mosconi: La costruzione dell'insicurezza

L’idea di sostituire l’assessorato alla sicurezza con quello della partecipazione aveva assunto una valenza simbolica emblematica delle speranze di cambiamento che accompagnavano l’insediamento della nuova giunta comunale, dopo la vittoria del centro-sinistra del 2004. una cultura e metodologie nuove nella gestione delle questioni della sicurezza e della marginalità, non più principalmente ispirate a politiche repressive e di sorveglianza del territorio, quanto a forme partecipative adeguate a coniugare la risposta ai disagi delle marginalità con le istanze reali diffuse nella cittadinanza. Dal famoso “muro” di via Anelli in poi gli interventi dell’amministrazione hanno via via dato luogo ad un clima e a significati del tutto diversi. Anche se quel primo intervento poteva essere comprensibile nella strategia complessiva di smantellamento del noto ghetto padovano, in quanto preordinato ad impedire che le palazzine appena svuotate tornassero a riempirsi di disperati senza prospettive praticabili, il senso che strumentalmente allo stesso è a suo tempo stato dato, come risposta dura e immediata agli incidenti appena prima accaduti nella zona ha segnato il rischio di un mutamento di senso all’operazione, per molti aspetti apprezzabile, che si stava realizzando. Da lì in poi il susseguirsi di una serie di interventi, tutti dello stesso segno: la diffusione massiccia della videosorveglianza. Le multe ai clienti della prostitute, accompagnate dal rifiuto di dialogo con le stesse, quando da decenni esiste un agguerrito e legittimato movimento per i diritti civili delle stesse, insieme a sperimentate metodologie di assistenza e riduzione del danno ispirate a spirito di tolleranza e di civile convivenza. E ancora le retate di ambulanti sul listone; e da ultimo l’interdizione ai nomadi del territorio comunale, in occasione della festa del Santo, e i provvedimenti contro i mendicanti, con il paventato divieto di praticare l’accattonaggio nelle vie del centro. Colpisce l’univocità di senso che accomuna questi provvedimenti. Troppo facile, quasi un luogo comune, denunciarne l’intento repressivo e illiberale, come comune denominatore, riscontrare lo spauracchio della “tolleranza Zero”, alla Rudolf Giuliani, come ispiratore sostanziale di tali politiche. C’è qualcosa di più profondo, di più sottile e, perciò di più inquietante, che va fatto emergere. Una volta che un problema, certo per diversi aspetti reale, viene evocato e rappresentato all’insegna dell’insicurezza e del degrado, associato alle dimensioni dell’allarme e del pericolo, le risposte non posso che essere di un tipo: quelle emergenziali che tolgono fisicamente di mezzo il problema. E reciprocamente, l’adozione di quelle soluzioni sono la rappresentazione del carattere del problema stesso, la prova tangibile che non esistono altri mezzi per farvi fronte. E’ da chiedersi se sia il problema a richiedere quel tipo di risposta, o se non sia quest’ultima a definire il carattere del problema stesso, così da precostituire i termini della propria legittimazione. Siccome assumo quel metodo, significa che il problema è di quel tipo, e non vi sono altre riposte sensate. Sta di fatto che si rischia così di dar luogo a un sistema chiuso e autoreferenziale di significati, un corto circuito comunicativo che non lascia spazio a letture diverse dei fenomeni e a forme diverse di gestione degli stessi. E’ la profezia che si autoavvera. Preoccupa che, in questo modo, si possa aprire un discorso a spirale senza via d’uscita, orientata a fagocitare nella sua logica e nelle sue pratiche tutto ciò che può prestarsi ad alimentarla: dalla droga nelle scuole alle scritte sui muri, dagli immigrati clandestini agli schiamazzi notturni, dai detenuti usciti con l’indulto alle manifestazioni no global, dagli scippi per strada ai musicanti accattoni, dai campi nomadi, agli assembramenti di giovani, alla sporcizia per strada. Tutto diviene problema di sicurezza, di polizia, di ordine pubblico, di legalità.
E’ significativo notare come, in questo processo, si operino facilmente scivolamenti di significato. Ad esempio il termine “degrado”, solitamente usato per indicare zone caratterizzate da decadimento edilizio, assenza di infrastrutture, desertificazione sociale, quindi tali da rimandare a pubbliche responsabilità, oggi viene assunto come sinonimo di presenza di soggetti pericolosi e di rischi di vittimizzazione. Si celebra come espressione di un grande movimento di consenso alle politiche sicuritarie dell’amministrazione la raccolta di 800 firme contro la prostituzione, quando è ovvio il facile conseguimento di tale effetto della generica agitazione di temi moraleggianti come questo tra i cittadini “per bene” ( tanto più se anziani, o di sesso femminile). Il fatto è che dietro a queste politiche e a questi linguaggi si nascondono e si mistificano almeno tre aspetti: i reali problemi della città ( traffico, ambiente, pianificazione urbana) che restano abbondantemente irrisolti; le cause più profonde dei sentimenti di insicurezza, radicate nei limiti dello sviluppo, nell’angoscia e nello stress che caratterizzano il “malvivere” del nostro tempo; le drammatiche difficoltà che sostanzialmente contrassegnano le storie di vita di molti soggetti dipinti come pericolosi. Credo ci sia una mutazione nel modo in cui una cultura e forze politiche tradizionalmente di sinistra accedono a queste logiche e prospettive. Non più occupare tatticamente il terreno dell’avversario per sottrargli preventivamente uno dei temi presuntivamente cruciali di consenso, ma una acquisita convinzione di fondo che le questioni della sicurezza e della legalità non possano che avere oggettivamente questi connotati e comportare necessariamente questi metodi; quando invece poche materie rivestono un carattere altrettanto complesso e si prestano alla sperimentazione di logiche sostanzialmente democratiche e non repressive, quanto questa. Così la sinistra perde due sue essenziali prerogative, senza delle quali è difficile continuare a definirla come tale: la conoscenza oggettiva della realtà, l’aiuto e la solidarietà verso i soggetti più deboli:Solo una cultura dei diritti e un atteggiamento positivo aperto alla conoscenza e all’incontro potrà sconfiggere le retoriche dell’insicurezza e della paura.

Giuseppe Mosconi, Università di Padova

1 commento:

Anonimo ha detto...

Un'analisi lucida della gestione del tema della sicurezza in città. Con la speranza che venga accolta dal mondo politico come una critica costruttiva. La speranza, si sa, è l'ultima a morire.